Come e quando avviene la scelta di interrompere gli studi sull’arte ed umanistici per impegnarsi nel sindacato? E’ stata influenzata da qualcosa o qualcuno?
No, da niente e nessuno, come già mi era capitato quando scelsi di lasciare l’Istituto tecnico. Certo, ho avuto colloqui con persone adatte: Giancarlo Brasca, direttore amministrativo della Cattolica, Mario Romani, storico dell’economia e ispiratore della concezione sindacale della CISL; Sergio Zaninelli, che si occupava intensamente di formazione alla CISL di Milano. Dall’autunno del ’55 inizio ad impegnarmi nel sindacato a tempo parziale, mentre continuo ad insegnare storia dell’arte. Dal ’58 lavoro a tempo pieno, prevalentemente per la formazione dei sindacalisti e dei militanti nel mondo delle fabbriche e, non meno, nel mondo agricolo dei salariati e braccianti, che per me ha rappresentato una vera scoperta.
Romani mi prese sul serio, nel senso che mi diede una ventina di volumi da leggere, anzi da studiare – una bibliografia, diremmo oggi – alcuni dei quali in regalo. C’era, tra l’altro, una letteratura di produzione CISL di notevole livello (libri di 120-150 pagine, me ne ricordo uno sulle relazioni umane nell’impresa, un altro sulla formazione professionale…); alcuni volumi dello stesso Romani, che hanno avuto una notevole influenza su di me (per esempio, gli “Appunti sulla evoluzione del sindacato”); testi più istituzionali, come un “Trattato di economia e scienza delle finanze” per capire come funzionava il sistema economico e fiscale, la “Storia Economica” di Luigi Luzzatto, la “Breve storia dell’industria italiana” di Rosario Romeo; ma anche opere diverse, ad esempio “Storia dell’agricoltura italiana”. In questi anni ho lavorato e studiato moltissimo, per assimilare tutto ciò…
Perché ho scelto il sindacato? Adesso può essere facile razionalizzare: innanzitutto, perché dovevo scegliere fra una attività professionale di carattere umanistico e una invece – usiamo un aggettivo solito – con una netta prevalenza dell’aspetto sociale, e ad un certo punto ho scelto la seconda. Poi perché ritenevo questa svolta più congeniale e più vicina al mondo che avevo visto: il mondo delle fabbriche, il mondo operaio e, dopo, quello agricolo.
Non si trattava di un astratto amore per il lavoro, ma di attenzione, curiosità per il lavoro, per le organizzazioni che più direttamente lo rappresentano e non c’è dubbio che l’organizzazione che più direttamente lo rappresenta è l’organizzazione sindacale. In questo interesse certo si innestava anche una scelta di campo tra la sinistra comunista e la via occidentale. Ho vissuto con grande tensione il 18 aprile 1948: la scelta di campo per me era spontanea, la scelta più specifica è stata quella del sindacato.
Come si organizzava il sindacato al suo interno? Quale è stato il suo ruolo?
La CISL era fondamentalmente composta dalla Confederazione e dalle grandi Unioni del Nord, come Brescia e Bergamo. Per qualche anno abbiamo lavorato Zaninelli a Milano e io a Brescia, dove ho svolto un intenso lavoro sindacale, visto che l’ambiente CISL negli anni ’50 era ben al di sotto del livello di attività che proponevano Romani, Pastore e pochi altri. Nasceva infatti in un contesto di divisione dalla CGIL ed il primo problema era la sopravvivenza, creare strutture di media consistenza, più che il conflitto. All’Unione di Brescia mi sono trovato accanto da una parte persone di grande tensione e idealità, dall’altra una normale burocrazia orientata alla pura sopravvivenza. Cosicché nel giro di un anno o due scoppiò l’inevitabile conflitto tra queste due anime, diffuse anche in altre strutture, fra coloro che sostanzialmente volevano una CISL più innovativa, più vicina alla cultura ufficiale dell’organizzazione, e coloro per i quali bastava la CISL com’era, un po’ collocata e tutelata nell’ambiente cattolico. In quello scontro fui proposto, giovanissimo, come candidato del gruppo innovatore, modernizzante, diciamo così: eravamo nel 1957-58. Ho quindi dovuto decidere se fare la battaglia per assumere la leadership di questo oppure no; ho deciso per il no, probabilmente suscitando anche qualche delusione nell’ambiente, perché mi interessava di più proseguire la strada dell’attività culturale e intellettuale. Quindi nel novembre-dicembre 1958 dichiarai la mia disponibilità alla Confederazione e venni trasferito a Milano, dove con Zaninelli costituimmo l’Ufficio Formazione Alta Italia. Insieme al Centro Studi di Firenze, e alla Confederazione, nacque così un gruppo di esperti a Milano, che operava a livello regionale dell’Alta Italia, per i corsi ai Consigli Generali e i corsi residenziali, in collegamento con il livello confederale.
A questo punto mi si presentò un altro bivio, che portò un’ulteriore svolta nella mia vita: rimanere nel sindacato a fare la “carriera” del dirigente sindacale o, pur restando con la CISL, intraprendere una attività esterna, meno istituzionalizzata, ma non facile. Romani mi diceva: “Lei, Baglioni, ha proprio la mentalità e la sensibilità del sociologo…”.