#1/2015 – ANGELO PICHIERRI con Valentina Pacetti

Cosa ricordi del periodo di stage alla Olivetti?

E’ stata un’esperienza assolutamente straordinaria che ho capitalizzato e sulla quale ho campato di rendita per i 15 anni successivi, perché mi ha messo nel novero dei pochissimi sociologi italiani del lavoro che avessero toccato con mano una macchina utensile e una catena di montaggio.
garavini-41-210x300Il mio stage, che durò un mese, era organizzato contemporaneamente dall’Ufficio ricerche sociologiche e dal Centro di Psicologia (Psicotecnica e Psicologia del lavoro, con personaggi come Francesco Novara e Renato Rozzi, che facevano cose estremamente interessanti ed ebbero più tardi una posizione accademica), e prevedeva 15 giorni presso il Centro e 15 giorni in catena di montaggio, che passai al montaggio della macchina da scrivere elettrica.macchina da scrivere elettrica Olivetti Tekne 3

Nel corso di questo periodo olivettiano ho fatto alcune conoscenze fondamentali per il mio percorso successivo, specialmente futuri politici e sindacalisti. In FIAT in quegli anni eravamo in piena epoca vallettiana [6], mentre in Olivetti ricordo di aver assistito ad un comizio di Sergio Garavini, segretario della camera del lavoro di Torino al quale veniva concessa l’elegante mensa dell’Olivetti per il suo comizio in fabbrica.

Per quanto riguarda gli inizi del mio percorso sociologico, lì diventai amico di Gian Antonio Gilli e Bruno Maggi – due personaggi straordinari, anche se tra di loro molto diversi – con i quali cominciai a fare ricerche e progetti, perlopiù di carattere bibliografico. Quaderni di Sociologia_1968Fu Gilli ai presentarmi Gallino, che era responsabile dell’Ufficio ricerche sociologiche e tra i redattori dei Quaderni di Sociologia fondati da Nicola Abbagnano, che avevano la loro sede ad Ivrea, per i quali comincio a scrivere recensioni. La conoscenza con Gallino era di tipo formale; la svolta vi fu solo dopo uno o due anni di recensioni, quando osai proporre una nota critica su Touraine. Gilli mi riferì che Gallino dopo averla letta gli disse: “Però, bravo questo Pichierri!”; da allora i nostri rapporti cambiarono…

Quanto è stato importante vivere “da dentro” la fabbrica e quanto questa esperienza ha influito nella scelta successiva di studiarla?

Importantissimo! Io stavo a Torino, mi ero iscritto al PCI torinese, lavoravo a ridosso della FIAT e tutto quello che leggevo e studiavo in Marx e nei marxisti era straordinariamente coerente con quello che avevo attorno: c’era la lotta di classe, la fabbrica con lo sfruttamento… Era una meraviglia! All’Olivetti invece si faceva più fatica, perché le condizioni di lavoro e di contorno erano talmente buone: si aveva un bel parlare di paternalismo… Quanto allo studio, come dice Gian Primo Cella nella sua intervista su ELOweb, nel periodo di cui sto parlando per i sociologi che volevano occuparsi di Sociologia del lavoro il riferimento obbligato era la Francia contemporanea. Non mi passava per la testa di leggere Max Weber o Emile Durkheim: per interpretare la fabbrica andavano benissimo i sociologi del lavoro francesi. Come dice ancora Cella, il Traité de sociologie du travail era la Bibbia; poi a seconda dei gusti uno andava a insistere su Touraine o su qualcun altro.

 Riuscivi facilmente a recuperare questi testi? biblio@Olivetti

C’era la biblioteca Olivetti, curata da Gallino. Anche l’Istituto di Scienze Politiche aveva una buona biblioteca, prevalentemente orientata sulla Sociologia generale e politica, ma con una discreta sezione di Sociologia economica, dello sviluppo, ecc.. Quindi fisicamente li ho trovati lì, come ho fisicamente trovato lì Sociologie du travail, che si leggeva regolarmente e che era un riferimento fondamentale. Per me l’Inghilterra, in particolare con il Tavistock Institute, è comparsa dopo.

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