#1/2015 – ANGELO PICHIERRI con Valentina Pacetti

Come nasce il tuo rapporto con la Germania?

Deutsches FahrradIl mio rapporto con la Germania è un caso di successo professionale che deriva da ragioni completamente non professionali, visto che ho cominciato ad amarla e a studiare il tedesco per ragioni che non hanno niente a che vedere con la Sociologia, e che risalgono a quando da studente viaggiavo in autostop e avevo cominciato a balbettare qualche frase in tedesco… Successivamente, quando nel 1980 vinco la cattedra da ordinario, ho una micro-crisi esistenziale: naturalmente ero contento di essere diventato ordinario e di esserlo diventato a Torino, ma posso dire di non averci investito troppo dal punto di vista emotivo. Problemi di carriera non ne avevo più e non avevo grosse ricerche per le mani; così, siccome sono abbastanza calvinista da non saper stare senza lavorare, ho deciso di mettermi a studiare il tedesco. Amavo la letteratura tedesca, cominciavo a cantare e a occuparmi un po’ di più di musica e volevo capire le parole dei Lieder di Schubert, cose di questo genere… Poi è chiaro che un sociologo sa che Max Weber e qualcun altro hanno scritto cose interessanti in tedesco, ma non è stata questa la ragione principale. Il tedesco l’ho studiato all’Istituto Goethe, con una formula efficacemente scolastica, dove mi capitava spesso di partecipare a uno dei tanti convegni che il direttore Winterberg, sociologo, organizzava invitando i più brillanti sociologi tedeschi. E’ lì che ho conosciuto colleghi come Horst Kern, che conto ancora tra i miei migliori amici. In genere si parlava in inglese, perché gli unici che parlavano tedesco erano Ferraresi e Gian Enrico Rusconi. Quando i miei colleghi tedeschi hanno scoperto che ero in grado di leggere un articolo in tedesco hanno cominciato a mandarmi le loro cose, abbiamo cominciato ad avere una corrispondenza scientifica, alla quale sono seguiti poi i primi inviti in Germania.

Nel 1984 Winterberg, a coronamento di questa sua attività di promozione dell’incontro tra Sociologia tedesca e Sociologia italiana organizza – cosa oggi assolutamente impensabile – un viaggio di studio di lusso pagato dal Ministero degli esteri tedesco per sei sociologi del lavoro e dell’organizzazione “di punta” in Italia, che per 18 giorni viaggiano per la Germania, ospiti del Ministero degli Esteri. Viaggo Germania Reyneri PichierriIn 18 giorni abbiamo visitato 13 istituti: istruttivo ma piuttosto faticoso! Eravamo (non in ordine di importanza) Federico Butera (che ai tempi non era ancora membro dell’accademia, e questo creava qualche frizione…), Massimo Paci, Marino Regini, Emilio Reyneri, Gian Primo Cella (con Cella, uno dei non molti colleghi dotati di humor, abbiamo maturato in quella occasione uno stock di aneddoti divertenti da raccontare).

Questo viaggio è stato davvero importante, anche perché in quel periodo la Industriesoziologie era la componente predominante della Sociologia tedesca, e c’era un immenso lavoro di ricerca sistematico svolto presso le università e presso un certo numero di istituti di ricerca con un particolare statuto para-universitario. C’era il Wissenschaftszentrum a Berlino, dove facemmo una tappa; a Monaco, l’istituto diretto da Burkhard Lutz; a Göttingen il SOFI (Das Soziologische Forschungsinstitut) di Michael Schumann e Horst Kern… insomma, i sociologi che contavano in quel periodo li avevamo conosciuti! E io durante quel viaggio, con la parziale eccezione di Cella, ero l’unico che conosceva il tedesco abbastanza da leggere veramente le ricerche di cui si parlava: questo fatto ha segnato il passaggio a una fase importante della mia carriera.

Nel 1985, infatti, Wolfgang Streeck mi dice che era disponibile un posto di visiting al WZB, di fargli sapere in fretta se ero interessato, perché i posti erano molto richiesti. Streeck contava molto al WZB, pur non essendone né presidente né direttore, e ci teneva a portare lì, con le vaste risorse di cui disponevano, gente che gli interessasse e che gli facesse fare bella figura, naturalmente, per cui la selezione comportava un esame accurato da parte sua. Nel mio caso il finale di questo esame occulto avvenne nel corso di un pranzo a due, nel quale parlammo molto di lavoro, e Streeck mi faceva con nonchalance una serie di domande: pareva che tutto si sviluppasse bene, perché avevo letto le cose che lui interessavano, conoscevo le persone giuste, finché a un certo punto assunse un’aria grave e mi chiese: “…and what about Rumenigge?”.RUMENIGGE Io non sapevo assolutamente di chi stesse parlando, ma per fortuna la mia onestà mi ha salvato, perché anziché dire una frase tipo: “Mah, qualcosa mi pare di aver letto, qualche recensione…”, gli ho risposto: “Senti, Wolfgang, io francamente di questo Rumenigge non ho letto proprio nulla: è bravo?”. Quando ha capito che non stavo scherzando la cosa ha minacciato per qualche istante i nostri buoni rapporti, perché per lui, appassionato di calcio, la domanda era seria…

Dopo questa defaillance sulla cultura calcistica, qual è stato l’esito della selezione?

A Berlino con ricercatore WZBE’ andato tutto bene e così nel 1986 mi trasferisco a Berlino per sei mesi. L’invito al WZB e gli anni successivi di miei rapporti con la Germania sono stati probabilmente uno dei periodi migliori della mia vita professionale, e non solo. È stata un’esperienza straordinaria da molti punti di vista: non da quello linguistico, perché al WZB, e in generale nella Berlino “murata” di quegli anni, era normale parlare inglese. Ho cominciato a parlare seriamente il tedesco qualche anno dopo a Brema, perché mi ero reso conto che, anche se le interviste potevano essere fatte tranquillamente in inglese, farle in tedesco aveva un altro effetto. A Brema ho passato due lunghi periodi, e grazie a quella che si chiama Forschungsprofessur (cattedra senza obbligo di insegnamento) ho scritto un libretto sul “modello anseatico”. La mia terza città tedesca è stata Göttingen. Ci sono stato spesso per via del Sofi, e soprattutto della mia amicizia con Horst Kern (che ha finito lì la sua carriera accademica come rettore). All’inizio degli anni ’90 uscì da Einaudi il libro di Kern e Schumann sulla fine della divisione del lavoro, con introduzione di Kern e Pichierri e traduzione di Bruno Cattero [13]. Bruno era stato un mio brillante laureato che, rara avis, sapeva il tedesco. Così continuò a Göttingen, con Kern come tutor, le ricerche sull’industria automobilistica e sulle relazioni industriali cominciate con me a Torino, e diventò un altro link tra me e la Germania.

Come cambiano i tuoi temi di ricerca a seguito dell’esperienza tedesca?

Dal punto di vista professionale, a Berlino si è sviluppato il passaggio, nella mia testa e nella mia attività di ricerca, dall’industria al territorio. Fino alla fine degli anni ’70 io avevo studiato prima le classi sociali, poi l’industria e il lavoro, dove per me, grazie a Gallino e ad altri, la linea di demarcazione tra Sociologia del lavoro e dell’organizzazione era molto appannata. L’oggetto della ricerca era sempre l’azienda. Sociologia industrialeNei primissimi anni ’80 ho cominciato a occuparmi di crisi e di declino industriale. Ho studiato l’Italsider negli anni ’70 perché era una grande impresa modello; negli anni ’80 perché era un tipico esempio di grande impresa produttore di massa in declino accelerato. Quando ho cominciato a occuparmi di declino, il declino per me era declino organizzativo, industriale, aziendale. Non avevo in testa un programma di ricerca in cui rientrasse il territorio, ma il territorio è entrato per forza. Quando studiavamo Cornigliano o Taranto, con Gallino, Vittorio Rieser, Alberto Baldissera, Edda Saccomani, partivamo da Torino e passavamo la giornata dentro lo stabilimento: per noi la città non esisteva.

Pensa che io ho iniziato a studiare il caso FIAT prima di riuscire ad entrare dentro lo stabilimento!

È l’altro estremo, infatti. Quando ho cominciato ad occuparmi della crisi dell’Italsider, diventava impossibile non porsi in qualche modo il problema del rapporto con gli stakeholder, di cosa facevano i disoccupati, ecc., per cui ho cominciato ad occuparmi in qualche modo di territorio. Il soggiorno a Berlino ha coinciso con l’ultima parte dei miei studi sulla siderurgia e sul declino siderurgico, e uno dei miei articoli sul declino della siderurgia europea è uscito per la prima volta in inglese come working paper del WZB. Negli anni successivi i miei studi sul declino regionale hanno finito per incrociare quelli del mainstream sullo sviluppo locale: da Genova ad Artimino. La mia prima volta ad Artimino-Prato Giacomo Becattini fece in pubblico una battuta scaramantica e profetica sulle preoccupazioni che poteva destare la presenza di un esperto di declino…

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