#2/2015 – BIANCA BECCALLI con Sabrina Perra

Raccontami un po’ della tua biografia e del tuo incontro con la sociologia…

 Sono nata in una piccola città, Pavia, in una famiglia “bene”: mio padre era un pianista e condivideva con mia madre una visione liberale del mondo. Io sono cresciuta in un ambiente familiare integrato nel fulcro della vita culturale, intellettuale e sociale della città. All’Università mi ero iscritta alla facoltà di filosofia (Pavia aveva una certa tradizione accademica in questa disciplina, contando nomi come Ludovico Geymonat ed Enzo Paci). GeymonatIn quel periodo l’università era un’élite: pochi studenti, bravi professori integrati nel contesto cittadino, lo stesso della mia famiglia. La sociologia in Italia non esisteva e il mio incontro con questa disciplina iniziò con una borsa di studio e un soggiorno a Parigi in cui seguii i corsi di Alain Touraine sulla divisione del lavoro e la teoria sociologica di Emile Durkheim. Fu una folgorazione: anche se seguivo un corso di studi di filosofia mi ero sempre interessata al tema del lavoro e con l’esperienza parigina trovai la dimensione di studiobeccalli pannella@parigi più adatta ai miei interessi. La mia famiglia accolse la mia scelta cercando di rispettarla, sebbene gli apparisse quantomeno bizzarra. La situazione era complicata dal mio professore di tesi, il quale non capiva come potessi interessarmi alla sociologia e diceva ai miei che con questa scelta buttavo all’aria la carriera universitaria alla quale mi esortava…

Credo che questo inizio così casuale e appassionato con la sociologia abbia finito per condizionare le mie scelte professionali, di ricerca e di vita accademica. D’altro canto, mi sembra che l’intera mia vita professionale, o forse l’intera mia vita tout court, sia stata come un moto circolare in cui si sono succeduti più volti i temi della ricerca, le persone con cui ho condiviso queste esperienze. Ritengo di fare parte di una generazione per cui la vita professionale è difficilmente distinguibile dalle passioni, dalle scelte e dalla quotidianità. È solo dopo che, riflettendo, alcune tessere sembrano delineare al meglio il quadro del mosaico lavorativo, stagliandosi in biografie in cui l’idea della carriera universitaria non era affatto presente: era la vita, e basta.

Come e dove prosegue la tua formazione sociologica?sraffa 2Dopo l’esperienza parigina e la laurea, nel 1964 mi trasferisco nel Regno Unito, a Cambridge. E’ stata un’esperienza importante, condivisa con un gruppo di giovani italiani, principalmente economisti (tra i quali Michele Salvati, col quale ci eravamo sposati l’anno prima) attratti dalla presenza del mitico economista ricardiano Piero Sraffa [1] , tra gli intellettuali più tenaci nella cultura europea antifascista. Accanto all’economia però l’univ

beccalli salvati@cambridgeersità di Cambridge cercava di arricchire anche il dibattito sociologico, allora particolarmente vivace, che ben si integrava con la importante tradizione inglese di storia sociale e antropologia. Come supervisore ho avuto David Lockwood che, seppure con le tecniche più tradizionali della survey aveva proposto analisi approfondite e innovative della stratificazione sociale[2]. Così a Cambridge praticai la sociologia e mi convinsi che avrei potuto fare sociologia ovunque: non mi rendevo conto, allora, che la sociologia in Italia non esisteva…

Cosa capitò una volta rientrata in Italia?

Divenni istruttrice nella scuola superiore di sociologia in seno alle scuole CO.S.PO.S.[3] a Milano, dove come docenti vi erano Alessandro Pizzorno, Luciano Gallino, Guido Baglioni e altri importanti sociologi della prima generazione. Anche in quella occasione pensai che vivere quell’esperienza fosse possibile a tutti, ma col tempo capii che si era trattato di una esperienza eccezionale, che coincideva di fatto con la nascita della sociologia italiana e della sua comunità, anche se si trattava di un processo non del tutto consapevole. Le stesse vicende delle Scuole CO.S.PO.S. (con sedi in varie città italiane, tra cui Milano, Torino, Firenze, Catania) fanno un po’ sorridere. Infatti, in piena guerra fredda erano state alcune fondazioni americane a sostenere in Europa la creazione di scuole di sociologia: consideravano la disciplina un antidoto al marxismo e, ovviamente, al comunismo! Certo si sbagliarono, almeno nel caso italiano: la sociologia nasceva invece proprio da una lettura e interpretazione attualizzata del pensiero marxista. Inoltre con il “gruppo di Torino”[4], prevalentemente composto da filosofi, che precedette la fondazione dei Quaderni Rossi, la sociologia nasceva come inchiesta operaia, che doveva costituire lo strumento di formazione della coscienza di clbeccalli matrimonio 1asse, che non andava derivata dal capitale, ma dalle condizioni tecniche e sociali in cui si svolgeva la vita degli operai. Sono queste le origini della sociologia italiana, della comunità scientifica, che non fu solo accademica. Anzi, nella sua prima manifestazione i campi prediletti erano il sindacato e i partiti o qualsiasi altra forma di movimento, organizzazione che si interrogasse sulle forze di produzione nella direzione che dicevo. matrionio beccalli salvati

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