#3/2015 – CHIARA SARACENO con Manuela Naldini & Sonia Bertolini

La sociologia della famiglia trova un posto privilegiato tra i tuoi interessi di ricerca: quando e come arrivi ad occupartene e quali sono gli autori che più hanno influenzato le tue riflessioni?

Credo chGOODEe appartenere ad una famiglia grande, inserita in una forte rete di parentela, con tutte le sue complessità e articolazioni, abbia contato nel guidare il mio interesse per i meccanismi interni alla famiglia e per le differenze tra famiglie. Tra gli autori che hanno segnato le mie riflessioni includerei sicuramente il sociologo William Goode e il demografo storico Peter Laslett. Peter LaslettSul piano dei rapporti intellettuali, c’è stata una persona cui sono debitrice non solo per l’occasione che mi ha offerto, ma per l’impronta che mi ha dato: Agopik Manoukian uno dei primi, e più fini, sociologi della famiglia in Italia, che purtroppo ha abbandonato l’università. Anche lui era a Trento e mi chiese di collaborare al corso che teneva di sociologia della famiglia proprio quando l’interesse degli studenti per le questioni filosofiche stava scemando. Tenevo dei seminari per gli studenti lavoratori il sabato e la domenica e l’interesse per la famiglia ha cominciato a svilupparsi in questa collaborazione, per me molto affascinante. MANOUKIANManoukian è persona coltissima, curiosa, con uno sguardo interdisciplinare ampio e una forte consapevolezza storica: sono tratti di cui gli sono debitrice e che ho continuato a coltivare, aggiungendovi una dimensione comparativa. Quando lui è andato via l’incarico di sociologia della famiglia è stato dato a me. Nel frattempo ero entrata nel movimento delle donne e avevo incominciato a fare ricerca anche su quella che allora si chiamava la condizione femminile e contemporaneamente ho partecipato alle campagne referendarie sul divorzio, per la legalizzazione della contraccezione e poi dell’aborto, affrontando sul campo temi pressoché ignorati nella lettura sociologica, in particolare quella disponibile in italiano. E’ stata l’espDALLA PARTE DELLA DONNAerienza nel e con il movimento delle donne e la consapevolezza di quanto toccasse temi cruciali per l’assetto complessivo delle società a darmi una forte motivazione a occuparmi dei temi della famiglia in modo sistematico e a cercare di colmare il vuoto conoscitivo – non solo mio – entro la sociologia italiana e in parte nella sociologia nel suo complesso. Chi inizia oggi ad occuparsi dei temi della famiglia, della condizione femminile e dei rapporti uomo-donna non ha idea della carenza di materiale con cui ci si confrontava allora: dipendevamo per lo più da una letteratura anglo-americana e in parte francese, i dati sull’Italia erano pochi e spesso interpretati per confronto a quelli statunitensi e alle interpretazioni allora prevalenti in quel paese. Oggi, per merito delle studiose e studiosi, ma anche dell’ISTAT, non ci si può certo lamentare della carenza di dati…

ANATOMIA DELLA FAMIGLIAIntrecciare gli studi sulla famiglia e quelli sulle donne e la divisione del lavoro tra uomini e donne, non solo nell’Italia contemporanea, ma dal punto di vista storico e in prospettiva comparata è diventato quindi progressivamente il mio ambito di studi privilegiato ed insieme un tratto distintivo del mio profilo di studiosa. Questo approccio non mi ha sempre giovato sul piano accademico, visto che la sociologia della famiglia era non solo marginale, ma dominata da Achille Ardigò [3], che non perdonava chi si riferiva ad approcci diversi dal suo (come ha imparato a sue spese anche Manoukian). Figuriamoci poi se poteva accettare una visione insieme storica e non pacificata della famiglia come quella che proponevo io! Questa ostilità è stata di lungo periodo: ho perso il mio primo concorso a cattedra da ordinario con motivazioni di tipo politico-ideologico e soprattutto con una modalità di fatto ingiuriosa, condivisa con personaggi della statura di Alberto Melucci e Giovanni Arrighi. Pur di non farci vincere, la commissione rinunciò a coprire tutti i posti disponibili, di fatto dandoci una patente di incapaci e inadeguati. Anche a Trento città non ero amata BARBAGLI SARACENOda tutti: pensate che il primo anno che mi fu dato l’incarico annuale di sociologia della famiglia – doveva essere il 1974 o 75 – un consigliere comunale fece una interrogazione chiedendo come fosse possibile che l’università, finanziata dalla provincia, desse un incarico su un tema così sensibile ad una notoriamente femminista e di sinistra (e perciò, evidentemente, fonte di ogni nequizia). Una argomentazione non dissimile fu sostenuta diversi decenni dopo dalla allora sottosegretaria Grazia Sestini, perché non venisse rinnovato a me e Marzio Barbagli l’incarico nell’Osservatorio nazionale sulla famiglia, che pure avevamo (specie lui) fondato. Barbagli è un altro amico e collega con cui ho collaborato sui temi della famiglia e da cui ho molto imparato, sia per quanto riguarda l’interesse per la prospettiva storico-comparativa, sia per quanto riguarda l’interesse per il dato empirico.

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