#2/2016 – MASSIMO PACI con Emmanuele Pavolini

Quale rilevanza hanno avuto le esperienze e le conoscenze fatte nei periodi di studio e ricerca all’estero nel tuo percorso di crescita professionale?

_t.jpgCome per quasi tutti gli amici di Stato e Mercato, anche per me è stato importante passare alcuni periodi di studio all’estero. All’inizio degli anni Ottanta tornai per un anno negli Stati Uniti, al Center for European Studies di Harvard, dove rafforzai i legami di amicizia con Suzanne Berger, Peter Lang e Charlie Maier[5]. img254Importante sarà anche il ritorno a Parigi nel 1993-94, presso la Maison des Sciences de l’Homme diretta da Maurice Aymard, il quale sarà poi un attento lettore del mio testo, ancora manoscritto, sulla sociologia storica. Su suggerimento di Arnaldo Bagnasco sono stato presso l’Institut des Sciences Politiques, dove ho tenuto un corso nell’ambito della cattedra di Sociétés Européennes Comparées. Assai utile, seppure breve, è stato anche il ritorno a New York nel 1997, presso la Casa d’Italia della Columbia University, dove ho raccolto una prima base bibliografica sulla sociologia storica americana, approfondita in seguito.

20160915_141222Nel 1986 scrissi l’introduzione alla traduzione italiana degli Essays on the Welfare State di Richard Titmuss e nel 1989 pubblicai Pubblico e privato nei sistemi nazionali di Welfare, oggi introvabile. 20160914_105240Titmuss e Polanyi sono i due autori principali ai quali devo l’idea, che in vari modi ho continuato in seguito ad elaborare, della incomprimibilità oltre un certo limite della “reciprocità solidale” come modalità di allocazione delle risorse alternativa al mercato e allo Stato. Da allora sono convinto che, se non si studia questa dimensione del mondo sociale, si resta all’angolo come sociologi, senza difesa di fronte ai politologi e agli economisti, lasciando mano libera, per così dire, alle loro spiegazioni fondate, rispettivamente, sul funzionamento del mercato o dello stato.

 

Nell’intervista per il portale SISE, Chiara Saraceno ricorda come il tema della famiglia è stato a lungo considerato dai sociologi italiani che si occupavano di “cose serie” (come le classi sociali o l’economia) come minore, “privato” se non “irrilevante”: come nasce e si sviluppa tuo interesse per ruolo della famiglia nello sviluppo locale?

20160915_162916La ricerca che coordinai sulla famiglia e lo sviluppo locale nelle Marche era volta a mettere in luce l’importanza delle reti sociali informali nello sviluppo economico per micro-imprese. Il passo successivo fu quello di accostare analiticamente all’ambito della famiglia e della rete di relazioni di comunità, il cosiddetto ‘terzo settore’ dell’associazionismo volontario. La ricerca durò alcuni anni: cominciò agli inizi e fu pubblicata alla fine degli anni Settanta[6]. La considero ancora una ricerca importante, quasi esemplare, che vide uno sforzo collettivo e adottò un taglio innovativo. Molti ricercatori in quegli anni studiavano il decentramento produttivo come primum movens per spiegare lo sviluppo economico in quella che Arnaldo Bagnasco aveva chiamato la “terza Italia”. Noi attirammo maggiormente l’attenzione sulla famiglia, in particolare quella di origine mezzadrile, che costituiva a nostro avviso un fattore decisivo dello sviluppo per micro-imprese. La ricerca fu anche l’occasione per creare un gruppo di giovani studiosi (Ugo Ascoli, Paolo Calza Bini, Giovanna Vicarelli, Patrizia David, Ennio Pattarin e altri ancora) e per imparare a utilizzare una pluralità di approcci di metodo: la ricerca quantitativa e il ricorso alle banche-dati, l’utilizzo del questionario, l’intervista qualitativa e l’osservazione partecipante, ma anche la narrativa temporalizzata. Paola Vinay, che aveva già fatto esperienza di ricerca sul campo a Madison, presso l’università del Wisconsin, e poi all’IRES di Torino, dette allora un apporto non indifferente. Da questa ricerca nacque (e fruttificò) quella che qualcuno ha poi chiamato la “piccola scuola di Ancona”.

Questo ambito di ricerca mi permise anche di rafforzare i contatti di lavoro e, soprattutto, i legami di amicizia con Arnaldo Bagnasco e Carlo Trigilia. Quest’ultimo, in particolare, è divenuto in seguito un attento ed acuto lettore delle prime stesure di alcuni miei lavori ed a lui devo importanti suggerimenti e consigli. Nel 1979 uscì anche, all’interno della collana Il mondo contemporaneo curata dallo storico Nicola Tranfaglia, un mio saggio sulla mobilità sociale comparata, che criticava gli studi di quel settore per la loro indifferenza verso l’analisi storico-economica, che vietava loro la possibilità di valutare l’entità reale della mobilità sociale, connessa con lo sviluppo economico di medio-lungo periodo[7].

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