#2/2016 – MASSIMO PACI con Emmanuele Pavolini

Guardando al tuo percorso di ricerca, dagli inizi fino ad oggi, credi sia possibile individuare un filo rosso, che ti ha spinto e ti ha guidato?

Credo che un tratto comune, presente in nuce fin dall’inizio, sia dato dalla valorizzazione dell’elemento sociale nel funzionamento del mercato. Già negli anni Sessanta la mia esperienza nei Quaderni Rossi mi induceva a rielaborare ed estendere concetti come “autonomia operaia”, intendendola come autonomia “del sociale”. Io sostenevo che nonostante la forte disoccupazione, il mercato del lavoro in Italia era rigido, cioè che non c’era una abbondanza dell’offerta che comprimesse il prezzo del lavoro. C’era un elemento sociale che favoriva la rigidità del mercato del lavoro, di cui gli economisti non riuscivano a rendere conto nei loro modelli analitici. Più tardi, negli anni passati nelle Marche, l’ipotesi che la famiglia svolgesse un ruolo nello sviluppo industriale per micro-imprese aveva certamente a che fare con questa valorizzazione dell’elemento sociale nel funzionamento dell’economia. Ma fu la lettura di Polanyi e di Titmuss, che mi permise di dare dignità teorica alla intuizione dell’importanza del fattore sociale nella spiegazione degli andamenti del mercato e dello sviluppo economico. welfare-localepaci-e-pugliese_coverSempre in questa ottica, infine, va letto anche il tentativo, fatto a partire dagli anni 2000, di valorizzare l’aspetto dell’empowerment del cittadino e della democrazia partecipativa, come espressione di una tendenza di lungo periodo, connessa con il più ampio processo storico di individualizzazione occidentale[12]. Il volume sulla sociologia storica, in questo percorso, si situa come momento finale di riflessione sulla esperienza di ricerca complessiva fatta e sulle sue basi teoriche e metodologiche.

 

Due domande per concludere: su cosa stai lavorando adesso e quali dovrebbero essere, a tuo avviso, i temi di ricerca su cui i sociologi italiani dovrebbero confrontarsi?

Mi piacerebbe approfondire maggiormente il filone del “neoistituzionalismo storico” e, in particolare, i lavori di Kathleen Thelen e di Karen Barkey (rispettivamente sul sistema corporativo tedesco e sull’impero ottomano), che confesso di avere scoperto solo dopo avere finito di scrivere il mio ultimo libro.

Inoltre, nei primi mesi del 2016 ho scritto alcune recensioni relative a volumi recenti (Il soggetto dell’economia di Laura Pennacchi; La questione del ceto medio di Bagnasco; Investire nel sociale, curato da Ugo Ascoli, Costanzo Ranci e Giovanni Battista Sgritta), ma ho anche iniziato rielaborare alcuni interventi fatti, negli ultimi due o tre anni, in occasione della prescuola-democraticasentazione di altri libri: non so ancora però se troverò un filo comune e se varrà la pena di pubblicare questi scritti in un volume. Piuttosto, penso di tornare ad occuparmi del tema delle politiche sociali e in particolare di quelle che si dipanano nel lungo periodo, come quelle di “social investment”, coinvolgendo ad esempio il rapporto tra Education e Welfare: un tema questo di cui mi sono occupato in un numero speciale di Scuola Democratica[13], nel quale ho coinvolto anche – dopo parecchi anni che non ci sentivamo – Esping-Andersen con un’intervista sul tema.
Penso che per affrontare questo tipo di policies e, in particolare, i loro esiti nel lungo periodo, sia necessario “ricalibrare” l’approccio del ricercatore sul piano metodologico, appropriandosi meglio delle tecniche di indagine proprie della sociologia storica.

Quanto al “discorso” che farei ai sociologi italiani che siano all’inizio della loro attività di ricerca, circa il tema da privilegiare, è lo stesso che mi fece Bendix a Berkeley molti anni fa: se si ripercorre la storia del pensiero sociologico, mi disse, si nota che spesso i grandi autori della sociologia hanno studiato nel corso della loro vita pochi problemi, talvolta sempre lo stesso “macro-problema”. Occorre quindi guardarsi attorno e riflettere, prima di iniziare una ricerca, per capire quale sia a nostro parere un macro-problema della società importante da studiare: deve trattarsi di un problema “reale” (non solo di teoria). A quel punto, devi occuparti di quel problema, con tutte le tue energie.

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