#1/2016 – ARNALDO BAGNASCO con Francesco Ramella & Rocco Sciarrone

Torniamo al tuo rientro all’Università di Torino, negli anni Ottanta…

La sociologia che ritrovavo a Torino faceva capo al Dipartimento di Scienze sociali, da poco istituito.NEGRI Con i padri fondatori, Filippo Barbano e Luciano Gallino, fra i colleghi più vicini alle mie specializzazioni c’erano Anna Anfossi, Giuseppe Bonazzi, Angelo Pichierri, Massimo Follis, Adriana Luciano, Sergio Scamuzzi, Luisa Bianco e Nicola Negri, con il quale attivai una stretta collaborazione; ma, in una cerchia di specialismi più larga, ebbi poi maggiori frequentazioni con Franco Ferraresi, Franco Rositi, Lorenzo Fisher, Paolo Almondo, Loredana Sciolla, Gian Antonio Gilli, Maria Carmen Belloni… mi fermo perché la lista dovrebbe essere lunga, comprendendo altri docenti e ricercatori di grande caratura (come Franco Garelli, che quando arrivai, se non sbaglio, era ancora ricercatore). Il Dipartimento contava oltre 70 colleghi, sociologi, ma anche antropologi e politologi. Era dunque un buon posto per lavorare, e del Dipartimento divenni anche il secondo direttore, quando Barbano terminò il suo mandato (una foto di quattro direttori del Dipartimento – Barbano, Bagnasco, Saraceno, Pichierri – è disponibile nell’intervista a quest’ultimo ndr). Nel tempo, le nostre risorse di discipline non sociologiche si ridistribuirono in altri Dipartimenti: sempre più si trattava dunque di un Dipartimento di Sociologia, e anche fra i sociologi ci furono alcune trasmigrazioni in un Dipartimento composito, al seguito di Gallino, che aveva la sua cattedra alla Facoltà di Magistero.

Si trattavafoto 10 per me al tempo stesso di coltivare l’analisi urbana e di riadattarmi a Torino e ai suoi cambiamenti. Dopo che un gruppo di lavoro del Dipartimento raccolse e ordinò una bibliografia ragionata di studi su economia, politica e società torinese (una quantità sorprendente di lavori!) mi decisi ad applicare in un ambiente locale così diverso la prospettiva centrata sui meccanismi di regolazione dell’economia che avevamo messo a punto per l’analisi dei sistemi locali in Veneto e Toscana.  Naturalmente si trattava di combinazioni diversecittà dopo ford di meccanismi da considerare, altra era la realtà alla quale dare forma, e per l’analisi si doveva fare riferimento ad altri ambiti di letteratura. L’esito fu Torino: Un profilo sociologico, edito da Einaudi nel 1986. Si trattava di un’ipotesi interpretativa, sorretta da alcuni riscontri empirici e di letteratura, ma mi trovavo nella circostanza di aver messo a fuoco sia un caso idealtipico di città del fordismo in crisi, sia l’emergenza dei distretti post-fordisti: una specie di esperimento.

Il libro fu un riferimento per molta discussione nella società locale, che cresceva con l’apporto di figure diverse dell’imprenditoria, del sindacato, del mondo della ricerca, non solo universitaria, e di altre realtà associative. Mi trovai in seguito nella condizitorino 11one di partecipare agli sviluppi del rinnovamento urbano, sino a impegnarmi, anni dopo, all’elaborazione del primo piano strategico della città, che si ispirava a simili modelli di gestione dello sviluppo in città europee. Quello fu il mio punto massimo di avvicinamento alla politica, ad un impegno più diretto nell’elaborazione di una policy. Un’esperienza per qualche aspetto analoga fu in anni successivi l’impegno di accompagnamento degli Stati generali del Piemonte, nelle diverse province, un’iniziativa del Consiglio regionale: in ogni provincia, l’apertura di una giornata di pubblica discussione si apriva con un profilo socioeconomico che preparavo con Rocco Sciarrone. Ma non voglio dimenticare la mia partecipazione alle attività dell’Istituto Gramsci piemontese, del quale divenni anche presidente in anni difficili di sopravvivenza finanziaria.

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