#2/2016 – MASSIMO PACI con Emmanuele Pavolini

A quando risale la trasferta negli Stati Uniti?

joan-baezNel 1965, su suggerimento di Guido Martinotti, chiesi ed ottenni all’Harkness Fellowship[2] una borsa di studio per gli Stati Uniti. Andai così a Berkeley, dove restai dall’autunno  del 1965 all’estate del 1967. Berkeley era allora il cuore pulsante del movimento studentesco americano contro la guerra in Vietnam. Fu così che entrai in contatto con il gruppo locale della SDS (Student for a Democratic Society), che faceva parte di una bendixvasta rete nazionale, presente in molte università americane: partecipai ad alcune riunioni ed ebbi modo di incontrare Tom Hayden e Joan Baez. All’università seguii il corso di Harold Wilensky, che aveva appena pubblicato il suo primo libro sul welfare state, ma soprattutto quello di Reinhard Bendix, che trovai affascinante.
Bendix favorì ulteriormente e in modo decisivo il mio interesse per la sociologia storica. Diceva: ‹‹Di teoria ne basta poca. Occorre capire quale è il macro-problema sociale della fase storica di cui ti occupi››. Qualcuno mi raccontò che una volta Arthur Stinchcombe, allora suo studente, gli consegnò un paper che Bendix criticò duramente, dicendogli: ‹‹A cosa ti serve tutta questa teoria se non hai messo ancora le mani nella parte empirica? La teoria viene dopo!››.

 

Concluso il periodo statunitense, una volta rientrato in Italia, a quali temi dedichi la tua attenzione?

20160914_105407Nel 1969 ottenni la Libera docenza in Sociologia: ancora i sociologi accademici scarseggiavano e la Commissione esaminatrice era dunque composta da giuristi del lavoro (con Gino Giugni presidente). Negli anni seguenti iniziai a scrivere vari articoli (su mercato del lavoro, migrazioni interne, occupazione femminile, classi sociali…) per riviste come Mondo Operaio, Inchiesta e Problemi del Socialismo. Si era all’inizio del dibattito fra economisti e sociologi che si occupavano di mercato del lavoro. Io sostenevo che fosse in atto una ‘balcanizzazione’ del mercato del lavoro in Italia: a mio avviso gli immigrati provenienti dal Sud, per vari motivi, non facevano concorrenza ai lavoratori del Nord e questo spiegava in buona parte le grandi lotte operaie e sindacali dell’epoca; ma gli economisti non erano d’accordo…. la casa editrice Il Mulino mi propose di trasformare questi primi articoli e i vari rapporti di ricerca scritti per l’ILSES in un libro: così nacque Mercato del lavoro e classi sociali, pubblicato nel 1972, il cui sottotitolo tradisce l’atmosfera politico-culturale dell’epoca[3]

Negli stessi anni iniziò la mia esperienza presso la Facoltà di Economia dell’Università di Ancona: fu quimg249ando Pizzorno andò in congedo ad Harvard ed io accettai la supplenza del suo corso di Sociologia. Ad Ancona in quegli anni insegnavano altri studiosi di grande valore: Giorgio Fuà, Sabino Cassese, Alberto Caracciolo… Al ritorno di Pizzorno la Facoltà decise di tenermi, dapprima offrendomi l’insegnamento di Demografia e poi “sdoppiando” quello di Sociologia. Così, dopo due anni da pendolare da Milano decisi di trasferirmi ad Ancona (con Paola e con Barbara, la mia prima figlia che allora non aveva ancora due anni). Fu una decisioimg258ne difficile, che si dimostrò poi azzeccata: a Milano non vi era spazio per tutti all’università ed io ero l’ultimo arrivato. Invece nel 1975, dopo soli cinque anni dal mio trasferimento nelle Marche, vinsi il concorso per la cattedra di Sociologia presso l’Università di Macerata, che tenni per due anni prima di tornare ad Ancona, dove sono rimasto fino alla fine degli anni Novanta, trovandovi la tranquillità necessaria per la mia attività accademica e scientifica.

 

Come valuti la tua esperienza anconetana?

Allora ad Animg250cona c’era Alberto Caracciolo che dirigeva l’Istituto di Storia e Sociologia e i Quaderni Storici[4]: dato il mio interesse per la storia, non potevo trovare un ambiente migliore! Per me, inoltre, è stato importante insegnare in una sede dove era possibile interagire con discipline economiche e giuridiche, rappresentate da ottimi studiosi. All’inizio degli anni Novanta sono stato per tre anni Preside della Facoltà e, in occasione del trentesimo anniversario della fondazione delle Università di Ancona, fu possibile incontrare di nuovo, per una giornata, molti dei vecchi docenti, tra cui Pizzorno, Fuà, Cassese e Giuseppe Orlando.

il-passetto_anconaD’altra parte, pur vivendo ad Ancona, avevo mantenuto le relazioni che avevo instaurato a Milano con i sociologi, tra cui oltre a Bianca Beccalli c’erano in particolare Marino Regini ed Emilio Reyneri. Importante per questo (ma anche per la sociologia italiana) è stata l’esperienza di Stato e Mercato, che ebbe inizio nel 1980 proprio ad Ancona, in una riunione all’albergo Roma e Pace, seguita da un buon pranzo al ristorante del Passetto. img263Non ricordo come mai divenni il primo direttore della rivista (forse ero il più vecchio dei giovani?), ma l’esperienza di Stato e Mercato è stata molto importante per me e per molti amici. Il clima della riunioni presso Il Mulino era liberatorio: ci dimenticavamo delle beghe dell’università e finalmente si parlava di ricerca.

Il taglio fortemente comparativo della rivista è emerso non soltanto come esigenza scientifica, ma anche perché la maggior parte dei membri del gruppo fondativo venivano da importanti esperienze fatte all’estero. Inoltre, il gruppo dei collaboratori stranieri, tra i quali Suzanne Berger, Charlie Maier, Philippe Schmitter, Gøsta Esping-Andersen e altri, era ragguardevole e influente. In effetti, avevamo una certa abbondanza di articoli di autori stranieri: la difficoltà era quella di trovar20160914_112430e contributi italiani di pari valore! Il mio contributo all’inizio riguardò soprattutto il settore dello studio comparato del welfare state: il mio articolo sulle ‘onde lunghe’ nello sviluppo storico dei sistemi di welfare, con il mio primo importante riferimento a Karl Polanyi, è uscito nel 1982, sul numero 6 della rivista (a conferma del fascino che esercitava su di me l’approccio di lungo periodo o di “sociologia storica”).

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