#1/2016 – ARNALDO BAGNASCO con Francesco Ramella & Rocco Sciarrone

Note al testo:

[1] C. Wright Mills, Images of Man, George Braziller, Inc., New York, 1960 (trad. it. Immagini dell’uomo: la tradizione classica della sociologia, Edizioni di Comunità, Milano, 1963); The Sociological Imagination, Oxford University Press, New York, 1959 (trad.it.: L’immaginazione sociologica, Milano, Il Saggiatore, 1962). Commenta Bagnasco durante l’intervista: «Mills parla dell’immaginazione sociologica come di una particolarità della mente: chi la possiede è capace di fare un certo ordine nell’ambiente sociale che lo circonda, di percepire l’ordito della società e la trama tessuta su questo da uomini e donne (che spesso si fanno un’idea falsa della loro posizione); è in grado di riconoscere la sua posizione come simile a quella di altre categorie di persone, con le quali condivide problemi e prospettive; riesce a distinguere difficoltà personali, circoscritte all’ambiente immediato e in questo affrontabili, da problemi pubblici, che nascono nella più grande organizzazione della società e nel funzionamento delle sue istituzioni. Tale capacità di connettere questioni private a problemi pubblici, comprendendone la ragioni, è l’essenza dell’immaginazione sociologica. Per Mills, in sostanza, l’immaginazione sociologica è la capacità di comprendere come la società è fatta e funziona, nell’ambiente prossimo e più generale, perché diventi possibile vivere con consapevolezza e, in certa misura almeno, autodeterminazione. Da questo punto di vista la sociologia è, dalle origini, un sistematico produttore di immaginazione sociologica».

[2] T.Parsons, The Structure of Social Action, 1937; II ed.: The Free Press, Glencoe, Ill.,1949 (trad. it. , La struttura dell’azione sociale, Bologna, Il Mulino, 1962).

[3] Una sintesi del lavoro fu poi pubblicata da Paolo Farneti con il titolo Il partito che controlla Polidia nell’antologia sul sistema politico italiano da lui stesso curata (Il sistema politico italiano, Bologna, Il Mulino, 1973).

[4] R.K. Merton, Social Theory and Social Structure, Glencoe, Ill., I ed. 1949, The Free Press, 1957 (trad. it. Teoria e struttura sociale, Bologna, Il Mulino, 1959, 1966). Nella sua introduzione all’edizione del 1966 (intitolata R.K. Merton e le analisi della sociologia) Barbano sottolinea il valore formativo dell’opera: «Ben più di un trattato di sociologia e ben altro di un ponderoso sistema di concetti, Teoria e struttura sociale è una palestra nella quale lo studioso può seguire passo passo e non scolasticamente il modo di fare la ricerca; di definire termini e concetti propri; di analizzare e rielaborare concetti altrui; di impostare un problema; di verificare e connettere i risultati empirici; di leggere criticamente i testi di teoria e ricerca; di definire ed analizzare le parole ed il linguaggio» (Ibid, p.LIII). «Barbano aveva certamente ragione», chiosa Bagnasco «e a me piace pensare Merton come un grande maestro artigiano, che con pazienza e precisione immagina e costruisce da sé gli attrezzi di cui si trova ad aver bisogno per proseguire nel suo lavoro, tenendoli in buona efficienza e pensandone sempre di nuovi per nuovi lavori che non si stanca di immaginare. Per la buona ricerca sociologica sono necessarie sia una ricca scatola di attrezzi teorica, sia una particolare abilità coltivata nell’adoperarli».

 [5] Giorgio Sola (1946-2007) è stato titolare della cattedra di scienza politica presso l’Università di Genova, dove insegnava anche sociologia; è autore di numerosi lavori teorici e di ricerca in particolare sulla tradizione élitista, e dell’autorevole Storia della scienza politica: teorie, ricerche e paradigmi contemporanei, La nuova Italia scientifica, Roma, 1996.

[6] Come noto, Torino, Genova e Milano, sono stati i vertici del “triangolo industriale” ai tempi del miracolo economico italiano. Precisa Bagnasco durante l’intervista: «Per economia e società Torino era la città fordista della grande produzione di automobili, ma anche città più in generale industriale per la presenza di altre importanti attività. A metà degli anni ’70 evoca ancora il modello della One Company Town: il solo stabilimento di Mirafiori occupava oltre 60.000 dipendenti, e gli addetti alla Fiat (considerando anche la produzione siderurgica, di autocarri, di motori, motori di aviazione, macchine utensili) arrivavano a oltre 135.000 nella sola area torinese (quasi quanto la popolazione di città come Perugia e Ravenna allora). La crescita industriale aveva comportato una forte immigrazione: l’apice è stato toccato nel 1961 con la cifra di oltre 84.000 arrivi (tanto da far designare Torino “la seconda più grande città meridionale d’Italia”). Ricordo che J.K. Galbraith lasciò interdetto l’uditorio torinese quando ad un seminario esordì dicendo che le grandi città industriali sembrano attraenti solo ai sociologi dell’industria. In effetti, non pochi erano i problemi di cui questi ultimi potevano occuparsi: l’autunno caldo del 1969 ebbe a Torino un epicentro del conflitto sociale che avrebbe accompagnato la crisi della società industriale».

[7] La Scuola di amministrazione industriale è stata fondata nel 1957 per sviluppare ricerca e formazione imprenditoriale e manageriale. Nel 1974, integrata nel sistema universitario nazionale, ha cambiato la sua denominazione in Scuola di Amministrazione Aziendale dell’Università degli Studi di Torino. Negli anni ’60 e ’70 comprendeva nella sua sede il Ceris, Centro ricerche sull’impresa e lo sviluppo, successivamente costituito come istituto di analisi e ricerca del Cnr dedicato allo studio dell’economia applicata e dell’impresa. In quegli anni la Scuola pubblicava una collana di volumi di ricerca e due riviste: L’impresa e Ratio.

[8] Darko Bratina (Gorizia 1942 – Obernai 1997), laureato in sociologia a Trento, è stato docente di sociologia economica all’Università di Trieste. Ha dedicato anche una particolare attenzione alla cinematografia come strumento di conoscenza e promozione interculturale. Impegnato in politica a sostegno della comunità slovena in Italia, è stato senatore della Repubblica e membro dell’assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa.

[9] La fondazione Giovanni Agnelli è un istituto di cultura e di ricerca nel campo delle scienze umane e sociali, fondato nel 1966 dalla Fiat e dall’Ifi, per ricordare il centenario della nascita del senatore Giovanni Agnelli. Lo scopo statutario è approfondire e diffondere la conoscenza delle condizioni da cui dipende il progresso dell’Italia in campo economico, scientifico, sociale e culturale. Promuove ricerche e organizza attività orientate a tale scopo, contribuendo alla definizione di policies, in dialogo con la società civile e le istituzioni pubbliche. A seconda dei periodi i temi di cui si è principalmente occupata si sono diversificati, seguendo i tornanti del cambiamento economico e sociale globale; dal 2008 ha concentrato l’impegno sul tema della formazione: scuola, università, lifelong learning.

[10] A. Graziani, L’economia italiana dal 1945 a oggi, Bologna, Il Mulino, 1972 (nuova ed. 1979).

[11] L’espressione “Trente glorieuses” è stata introdotta dall’economista Jean Fourastié per indicare il periodo di circa trent’anni di eccezionale e continuo sviluppo francese dopo la II guerra mondiale. Un simile periodo di crescita riguardò però l’insieme delle economie avanzate; nei paesi di lingua inglese si parla di una “Golden Age”.

[12] Le principali pubblicazioni esito del progetto di ricerca sono le seguenti: A. Bagnasco e R. Pini, Sviluppo economico e trasformazioni sociopolitiche dei sistemi territoriali a economia diffusa: Economia e struttura sociale, Quaderni della Fondazione Giangiacomo Feltrinelli, 14, 1981; C. Trigilia, Sviluppo economico e trasformazioni sociopolitiche dei sistemi territoriali a economia diffusa: Le subculture politiche territoriali, Quaderni della Fondazione Giangiacomo Feltrinelli, 16, 1981; A. Bagnasco e C. Trigilia (a cura di), Società e politica nelle aree di piccola impresa: Il caso di Bassano, Venezia, Arsenale Editrice, 1984; A. Bagnasco e C. Trigilia (a cura di), Società e politica nelle aree di piccola impresa: Il caso della Valdelsa, Milano, Franco Angeli, 1985; C. Trigilia, Grandi partiti e piccole imprese: comunisti e democristiani nelle regioni a economia diffusa, Bologna, Il Mulino, 1986; A. Bagnasco, La costruzione sociale del mercato: Studi sullo sviluppo di piccola impresa in Italia, Bologna, Il Mulino, 1988; A. Bagnasco e C. Trigilia, La construction sociale du marché, Parigi, Ed. de l’Ecole Normale Supérieure de Cachan, Paris, 1993.

[13] U. Hannerz, Exploring the City. Inquiries Toward an Urban Anthropology, New York, Columbia University Press, 1980 (trad. it. Esplorare la città. Antropologia della vita urbana, Bologna, Il Mulino, 1992). Il libro è una proposta di definizione dell’antropologia urbana basata sulla ricostruzione storica di un ambito di ricerca che via via prendeva forma, e ora, a posteriori, riconoscibile come specializzazione disciplinare.

[14] Tra i curatori degli incontri e dei relativi volumi ricordiamo: B. Lewis e D. Schnapper (Mussulmani in Europa), R. Dore, R. Boyer,e Z. Mars (Le politiche dei redditi), O. Benoit-Guibot e D. Gallie ( La disoccupazione di lunga durata), J. Elster e N. Herpin (L’etica delle scelte mediche), A. Cavalli e O. Galland (L’allungamento della giovinezza), V. Wright e S. Cassese (La ricomposizione dello Stato in Europa), C. Crouch e W. Streeck (I capitalismi in Europa), D. Della Porta e Y. Mény (Democrazia e corruzione in Europa), M. Gullestad e M. Segalen (La famiglia in Europa).

[15] Uno schizzo della storia di Stato e Mercato è stato presentato da Carlo Trigilia nel 2014, in occasione del numero 100 della rivista.

[16] Bagnasco aggiunge al riguardo questo commento: “Pensata all’inizio come un’unica scienza sociale, nell’ambiente affollato di progetti scientifici specializzati in cui si è subito trovata, la sociologia si è mossa individuando differenti tipi di adattamento. E’ rimasta però una sua vocazione a fare da ponte fra prospettive differenziate; a individuare punti di vista che lo permettessero; a restituire immagini ricomposte della società; a criticare modelli di altre scienze sociali diventati troppo autoreferenziali, senza spessore sociale. Le teorie che hanno cercato di rispondere a questa vocazione costituiscono la sociologia come scienza generale, se non più unica, della società. Questo è stato il punto di partenza per cercare la cifra”.

[17] La serie completa delle pubblicazioni del programma Css comprende cinque volumi, tutti editi dal Mulino: A. Bagnasco (a cura di), Ceto medio: Perché e come occuparsene (2008); N. Negri e M. Filandri (a cura di), Restare di ceto medio: Il passaggio alla vita adulta nella società che cambia (2010); R. Sciarrone, N. Bosco, A. Meo e L. Storti, La costruzione del ceto medio: Immagini sulla stampa e in politica (2011); C. Ranci (a cura di), Partite Iva: Il lavoro autonomo nella crisi italiana (2012); R. Sassatelli, M. Santoro e G. Semi, Fronteggiare la crisi: Come cambia lo stile di vita del ceto medio (2015).

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