#1/2017: EMILIO REYNERI con Giovanna Fullin

Da Catania a un certo punto te ne vai…

La “grande avventura” di Catania entra in crisi perché i giovani sociologi e politologi nel frattempo erano cresciuti. Nel 1980 Franco Cazzola ed io diventammo ordinari (non Raimondo Catanzaro, perché Leonardi gli preferì un altro allievo, più “disciplinato”) e pensammo che Leonardi, trasformato in padre nobile, potesse cedere parte del suo potere, tra cui la gestione dell’ISVI[14]. Ma lui non fu di questa opinione e guerra fu, che nel giro di pochi anni portò alla fuga dei “non-più-giovani” sociologi e politologi che avevano fatto di Catania una sede di eccellenza nel Mezzogiorno. Diversi furono gli episodi incresciosi, che deteriorarono i miei rapporti personali con Leonardi, portando alla rottura definitiva nel 1982, a seguito della sua rielezione a preside, che avevo osato sfidare presentandomi come candidato.

Dello stesso anno è il famoso viaggio dei sociologi italiani in Germania, del quale ci ha raccontato Angelo Pichierri nella sua intervista per il portale SISEC: tu come lo ricordi?

Il segretario del Goethe-Institut di Torino, un sociologo che coordinava convegni e altre attività, diventò molto amico di Pichierri, l’unico di noi che sapesse un po’ di tedesco, e organizzò un viaggio in Germania dei sociologi del lavoro: Pichierri, Federico Butera, Massimo Paci, Gian Primo Cella, io e altri. Girammo la Germania per una decina di giorni, incontrando colleghi di diverse università: Göttingen, Colonia, Bamberg, Berlino. Il viaggio doveva concludersi con la partecipazione al congresso dell’associazione dei sociologi tedeschi, ma io tornai prima a Catania per l’elezione del preside che segnò la rottura definitiva con Leonardi. Fortunatamente soltanto pochi mesi dopo si aprì l’occasione di andare a Parma. La sede distaccata a Brescia della Facoltà di Economia dell’università di Parma, dove insegnava Guido Baglioni, divenne autonoma e Baglioni, bresciano, vi si trasferì. Inizialmente a Parma pensarono di sostituirlo con il mai troppo compianto Guido Romagnoli: lui, però, faceva il preside di Sociologia a Trento, e non se la sentì di andarsene nella delicata fase di gestione della transizione da ateneo libero a statale. Così mi chiese se volessi andarci io: vista la rottura con Leonardi, decisi di accettare la proposta, che mi consentiva anche di tornare a vivere a Milano – pur sempre il cuore della ricerca sociale in Italia – dove mi trasferii a metà 1985, dopo un anno di pendolarismo con Catania, ma in direzione opposta a quindici anni prima.

Come fu per un sociologo come te entrare in una Facoltà di Economia?

Non fu difficile per diversi motivi: Baglioni vi insegnava da parecchi anni, perciò erano abituati ad avere dei sociologi; poi io avevo una laurea in economia, c’era dunque un background comune; inoltre nell’istituto di economia politica c’erano economisti keynesiani, con grandi aperture a questioni sociali; infine Lorenzo Peccati, un vecchio compagno bocconiano tra i maggiori matematici dell’economia italiani, allora a Milano ma a lungo all’università di Parma, mi “sponsorizzò” tra i colleghi matematici. Nella facoltà (dove c’era anche Luigi Frey, economista del lavoro della CISL, partito l’anno dopo per l’Università di Roma) fui ben accolto e integrato. Non avevo grandi carichi organizzativi, ma fare didattica a Economia significava avere tanti studenti, cosa che non mi era mai capitata prima; diversamente da Catania, a Parma c’era anche meno coinvolgimento con la città e con i sindacati. Da un certo punto di vista i parmigiani sono più chiusi dei siciliani: se non eri di Parma nei giri locali non entravi. Credo sia questo il motivo per cui persi l’elezione a preside nel 1993, sebbene per un solo voto. La mancata elezione e il conseguente anno sabbatico mi consentirono però di scrivere la prima edizione di Sociologia del mercato del lavoro, un’avventura che mi impegnerà per oltre vent’anni; un po’ come la mancata elezione di Catania fu la premessa per il rientro a Milano.

A Parma mi capitò di laureare Pierre Carniti: la Facoltà aveva deciso di dare la laurea honoris causa a Callisto Tanzi (ovviamente Tanzi e Parmalat all’epoca non erano quello che si è visto dopo); io, allora direttore dell’Istituto di Economia, dissi: “Ad un industriale contrapponiamo un sindacalista” e proposi Carniti. Così ci furono due lauree in contemporanea nell’aula magna dell’ateneo: la laudatio per Tanzi la fece un aziendalista, io quella per Carniti.

 

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