#3/2015 – CHIARA SARACENO con Manuela Naldini & Sonia Bertolini

Chiara Saraceno ricostruisce con Manuela Naldini e Sonia Bertolini il percorso professionale che la porta ad affermarsi come studiosa riconosciuta a livello nazionale ed internazionale su una serie di tematiche (dal genere alla famiglia, dal welfare alla povertà) per le quali è di frequente consultata anche in ambito politico-decisionale. Si tratta di un percorso mai frenato dalle “scomuniche” subite in diversi campi (dalla cultura alla politica, dal movimento delle donne all’accademia) per sanzionare scelte poco convenzionali. Al contrario, la condizione di straniera subita come conseguenza offre a Saraceno una straordinaria libertà di pensiero e azione nella definizione di un percorso di studio e ricerca originale, portato avanti con ferrea determinazione: così ogni impedimento si trasforma in finestra di opportunità, gli ostracismi locali in aperture internazionali, i pregiudizi sulla marginalità delle tematiche affrontate in un’operazione di recentrage che crea ponti disciplinari e metodologici. Il tempo le darà ragione e anche un certo snobismo mostrato dai colleghi ELO per temi considerati irrilevanti (come genere e famiglia) lascerà presto il passo ad una loro piena integrazione come imprescindibili aree di ricerca della sezione. Tra gli ingredienti della “ricetta Saraceno” per il successo professionale: curiosità, tenacia, disponibilità a rischiare, e un pizzico di antipatia, rivendicata con fierezza.

CHI E' SARACENO

Se gli anni maturi della carriera di Chiara Saraceno sono noti, meno lo sono quelli della sua formazione. Puoi raccontarci come, quando e perché sei arrivata alla sociologia?

Casualmente. Appartengo a una generazione che non ha incontrato la sociologia nel proprio percorso formativo. Non c’era neanche un insegnamento di sociologia all’università, quando l’ho fatta io. Credo che tra i sociologi della mia generazione siano tre i percorsi verso la sociologia più rappresentati: chi proveniva da filosofia, chi da lettere e chi da econoWEBERmia. Io sono laureata in filosofia. Quella filosofica è un tipo di formazione che ritengo molto importante. Pensate che quando sono andata a insegnare all’Università di Trento alla fine del 1968 – un fatto che ha deciso della mia vocazione sociologica – gli studenti allora in agitazione chiedevano proprio corsi di filosofia, dato che per lo più provenivano da istituti tecnici e non l’avevano mai studiata. Eppure si rendevano conto che dietro il materialismo storico, dietro Marx, come dietro la scuola di Francoforte – cui si ispirava allora gran parte del movimento – c’era una tradizione di pensiero filosofico che non poteva essere ignorata.

Ti ritieni quindi soddisfatta della tua formazione filosofica?

Molto, mi ha fornito un’ottima base per destreggiarmi tra teorie e concetti, per assumere un certo rigore intellettuale, allo stesso tempo evitando di filosofeggiare nello sviluppare la riflessione sociologica – una tentazione serpeggiante in diversi sociologi della mia generazione. Ciò detto, la mia propensione sociologica è emersa in realtà già con la tesi di laurea. Mi sono infatti laureata in filosofia teoretica alla Cattolica di Milano con Gustavo Bontadini [1], con una tesi nata dalla lettura del celebre scritto di Max Weber L’etica protestante e lo spirito del capitalismo. Il progetto iniziale era di  ricostruire le idee di alcuni dei teologi protestanti (e delle sette) di lingua inglese citati da Weber. Ero allora una dei pochi studenti di filosofia – ma non solo – a conoscere bene l’inglese, perché i miei genitori erano stati tanto lungimiranti da consentirmi di passare un anno negli Stati Uniti come exchange student in seconda liceo. EDWARDSAllora la lingua lWilliam_Jamesa cui conoscenza era data per scontata all’università era il francese (ad esempio dovevamo leggere in francese Cartesio e Pascal); i più bravi sapevano anche il tedesco; l’inglese invece era considerata una lingua poco filosofica, forse commerciale. Così io ho potuto trovarmi una nicchia inconsueta: partire da Weber, sì, ma tracciandone i fili meno ovvi del percorso intellettuale. Nel corso del lavoro il progetto iniziale si è trasformato in una ricerca sulle origini del pragmatisDEWEYmo americano: dal teologo Jonathan Edwards e il puritanesimo a William James fino John Dewey. Una tesi probabilmente un po’ spericolata e ingenua, in cui tuttavia Bontadini, grande persona e filosofo eccentrico dimenticato, mi ha lasciato lavorare in grande libertà, insieme accompagnandomi con grande rigore. In questo è stato il mio primo, ma anche unico, maestro, anche se non ne ho seguito le orme.

 

Cosa succede dopo la laurea, ottenuta nel 1965?

 Per un paio d’anni ho insegnato storia e filosofia, prima in un istituto privato, poi come supplente annuale al liceo scientifico Leonardo Da Vinci a Milano. In contemporanea facevo l’assistente “volontaria” in filosofia teoretica, l’unico modo per restare nell’ambiente universitario, anche se allora non pensavo di avere una carriera universitaria davanti a me. Non mi vedevo davvero come potenziale filosofa e per le donne era difficilissimo fare carriera in università, tanto più alla Cattolica, dove c’era un’unica donna professore ordinario nella facoltà di filosofia, Sofia Vanni Rovighi. ROVIGHIAlle donne non davano neppure le scarse borse di studio disponibili per gli studi post laurea. Bontadini usava dire che per fare carriera all’università occorreva essere ricchi di famiglia; aggiungo che occorreva anche appartenere al “sesso giusto”. Pensavo quindi che il mio destino professionale fosse l’insegnamento nei licei, passando per la trafila dei concorsi. Quegli anni di volontariato universitario sono stati per me molto formativi: dovevo lavorare come insegnante per mantenermi, ma dovevo anche lavorare intellettualmente per mantenere lo status di assistente universitario, che comportava essere sempre presente agli esami, pronta a fare la domanda intelligente quanto arrivava il mio turno, e pubblicare almeno un articolo scientifico all’anno (quindi continuare a studiare…).

L’equilibrio, direi il mondo, su cui si reggevano i miei primi passi nella vita professionale si è rotto alla fine del 1967, con lo scoppio del movimento studentesco e la prima occupazione dell’Università Cattolica. Parteciparvi per me, come per molti altri, rappresentò la prima esperienza politica forte.beccalli vacanza Significò anche l’inizio di rapporti di amicizia che sono poi continuati negli anni, con persone come Bruno Manghi, Guido Romagnoli, Gian Primo Cella, Bianca Beccalli. Quest’ultima era in Statale, non in Cattolica, ma proprio il movimento aiutò per la prima volta a fare incontrare mondi che prima non si frequentavano e non si parlavano. Ricordo ancora Bianca, bellissima, affascinante, così più matura di me politicamente…(vedi anche il ricordo di Saraceno nell’intervista ELOweb a Beccalli, ndr).

 La partecipazione al movimento per me significò anche la rottura con l’unico gruppo in cui abbia avuto una appartenenza forte nella mia vita, Gioventù studentesca. Di fatto, furono Gioventù Studentesca, di cui ero stata vicepresidente, e i suoi leader a rompere con me, considerando contrario ai propri principi la partecipazione alle proteste studentesche, che invece molti di noi consideravano in perfetta coerenza con la predicazione evangelica. Ricordo che durante le manifestazioni davanti al portone chiuso della Cattolica, dopo che ci avevano sgomberati e mentre alcuni facevano lo sciopero della fame, si leggeva la Costituzione e la Lettera ad una professoressa del priore di Barbiana. LETTERA PRIORE BARBIANAEppure fummo “scomunicati”: da un giorno all’altro nessuno degli amici di GS e della sua editrice Jaca Book, con cui avevamo fatto tante cose assieme, venne più a casa mia e di mio marito [2], fino a quel momento una delle “case aperte” in cui ci si poteva riunire e discutere di tutto, senza che a nessuno sia venuto in mente di chiederci le nostre motivazioni. La stessa Gioventù Studentesca, per altro, subì una scissione. Anni dopo ho scoperto che per diversi anni gli studenti di Comunione e liberazione – l’associazione nata dalla rottura di GS – avevano il divieto di venire alle mie lezioni a Trento: per questo parlo di vera e propria scomunica…

PROTESTA

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